martedì 29 gennaio 2013

Gemell@gginforma

Foto di Blue Fannies

Con l'apertura delle scuole, anche quest'anno hanno ripreso vita i gemellaggi.
Molti di quelli avviati in passato, ormai diventati storia e patrimonio delle scuole italiane e straniere coinvolte  , continuano e ne sono nati altri, richiesti da insegnanti che hanno conosciuto l'OPAM in occasione del convegno per il quarantennale.
In un periodo di precarietà economica e sociale che ha coinvolto il mondo occidentale che si sta ripiegando su se stesso, il gemellaggio assume un aspetto altamente formativo per i nostri studenti. L'educazione alla mondialità , disciplina trasversale che non ha una valutazione in pagella, ma che è indispensabile per la formazione globale della persona, trova nel gemellaggio proposto dall'OPAM uno strumento valido per essere realizzata.
Il gemellaggio non è una semplice relazione tra due studenti, bensì un rapporto che si costruisce nel tempo e nello spazio tra comunità differenti sia nel modo di studiare che nel modo di vivere. Il Sud del modo ci interpella, ci chiede di stringere legami, di uscire dalla nostra autoreferenzialità. Sono tante le richieste che ci arrivano dalle scuole straniere e non riusciamo a soddisfarle. La nostra scuola soprattutto quella superiore, fa fatica ad impegnarsi in questo ambito, per via dell'idea che non si possa perdere tempo, che non si riesca a finire il programma, per timore che il gemellaggio possa distogliere gli studenti dallo studio. Eppure se inserito nella progettualità annuale di una classe, il gemellaggio  apre orizzonti nuovi, porta a farsi delle domande e a cercare delle risposte fuori dai canoni convenzionali, insomma porta gli studenti a una consapevolezza di sè e del mondo in cui vivono, amplifica conoscenze e competenze, non solo linguistiche.
Quando arrivano  i materiali prodotti dalle classi, rimaniamo sempre stupiti e ammirati davanti alla profondità dei contenuti e alla creatività delle realizzazioni, a significare che questa attività sviluppa la mente e il cuore.
Desideriamo ringraziare tutti voi  docenti e ragazzi che siete gemellati e vi chiediamo di scriverci. Mandateci commenti, pareri sull'attività che fate e tutto quello che riceveremo verrà pubblicato sulla rivista. Non è una gara, non si vince nulla, ma potrete essere i protagonisti di una rubrica a voi dedicata.
Buon lavoro
L'equipe gemellaggi OPAM

venerdì 19 ottobre 2012

Il primo giorno di scuola


"Mancano le aule" "Piove dal soffitto" "Genitori protestano per il caro libri" "Gli zaini pesanti deformano la schiena" "Docenti precari organizzano sit in davanti al ministero"... Questi i titoli dei servizi sulle reti televisive nazionali e locali nel primo giorno di scuola.
Tutto vero! Eppure nei miei ricordi c'è dell'altro.
Ho insegnato matematica e scienze per più di vent'anni nella scuola media statale “Gaio Cecilio Secondo” di Roma , quartiere Tuscolano, e il primo giorno di scuola di questi anni lo ricordo così.
Noi professori nel grande atrio stavamo pronti ad attendere gli alunni, con i registri in mano nuovi di zecca; quello personale di colore blu nel quale avremmo dovuto trascrivere i nomi degli allievi e registrare le attività svolte con le valutazioni delle prove scritte e orali, e poi il registro grande di classe: rosso, con una copertina cartonata plastificata così pesante che se per distrazione ti cadeva di taglio su un piede, procurava minimo minimo una frattura alle dita, ancora libere da calze e scarpe per via della temperatura quasi estiva.
La porta di ingresso della scuola, inserita in una parete completamente vetrata permetteva di vedere e anche di sentire quel che accadeva fuori.
Una massa di ragazzini si accalcava contro la porta: c'era chi era arrivato presto per essere il primo ad entrare, come volesse battere un record; altri in leggero ritardo sui mattinieri spintonavano, urlavano, dando botte qua e là con lo zaino ai malcapitati che si trovavano sulla rotta che puntava dritto all' ingresso. Quando ancora non erano state messe le porte antipanico, il battente mobile si apriva verso l'interno e il temerario bidello, pardon, ausiliario, che avrebbe dovuto aprire al suono della prima campanella, doveva essere un vero atleta per ruotare la maniglia e arretrare con un salto laterale che gli facesse evitare di essere schiacciato dal fiume in piena degli studenti che si precipitavano dentro la scuola. Che entusiasmo. che desiderio di imparare! Sembra vero! Ho sempre pensato che i ragazzi concentrassero in quei pochi istanti dell'inizio dell'anno scolastico tutta l'energia che avrebbero dovuto distribuire nei 210 giorni rimanenti.
Conoscevo bene gli alunni della seconda e della terza e anche molti della prima, spesso fratelli o parenti di miei ex studenti. E siccome da bambina avevo sempre odiato i compiti per le vacanze, diventata insegnante non ne ho mai assegnati; chiedevo solo ai ragazzi di tenere gli occhi bene aperti sul luogo in cui passavano l'estate e di portate qualche oggetto che facesse vivere anche agli altri compagni le bellezze naturali di quel posto. La prima mattinata trascorreva perciò con questi "racconti dell'estate"; c'era serenità, allegria in classe e i muri dell'aula si riempivano di cartelloni con fotografie, rami di arbusti profumati, conchiglie... che restavano attaccati per alcune settimane quasi a volerci ricordare di mantenere tutto l'anno quel clima festoso del primo giorno.

Dopo tanti anni trascorsi alla “Cecilio Secondo”, sento il desiderio di confrontarmi con una realtà diversa e chiedo il trasferimento nel “1°CTP Nelson Mandela”, una scuola frequentata da adulti migranti che si trova nel quartiere Esquilino . Mi assegnano un corso di licenza media, che dura solo un anno e prepara gli studenti al conseguimento del diploma. E' il settembre del 2003 e mi accingo ad affrontare il primo giorno di scuola, un primo giorno di scuola per me davvero straordinario.
In segreteria mi consegnano solo un foglio con la lista degli iscritti e mi reco in classe ad aspettare gli alunni. L'aula è vuota, la porta aperta; fanno capolino timidamente donne e uomini, più o meno giovani, con un foglietto in mano. Senza proferire parola me lo mostrano e io controllo se quel nome a volte per me di difficile lettura sta pure sulla mia lista: Abdhullà, Mohamed, Xu, Saravan, Jeorgi... Sì, devono restare qui, sono loro i miei nuovi studenti. Non hanno zaini pesanti, righe con cui fare gli spadaccini, quadernoni... soltanto una penna, un piccolo block notes, alcuni nulla. Non si conoscono, non mi conoscono, si guardano, mi guardano: silenzio totale. Non sono abituata al silenzio in classe e allora mi presento rivolgendomi molto lentamente a ciascuno di loro: io mi chiamo Carla, e tu? Cominciano a rispondere e a dire i loro nomi, qualcuno non capisce. Non so che fare e mi viene l'idea di chiedergli: do you speak English? gli occhi gli si illuminano, finalmente può comunicare e risponde felice: YES!!! ma ahimè io non parlo quasi per niente l' inglese e gli dico: io NO!!! Il tempo di un attimo... e scoppia una risata generale. Evviva, abbiamo rotto il ghiaccio, siamo alla pari. Adesso  tutti vogliono dire qualcosa, raccontare di sé, del loro Paese di provenienza, del perché si sono iscritti a scuola...
Ce l'ho ancora in testa quella risata schietta, genuina, liberatoria per tutti. Che lezione mi hanno dato questi studenti migranti il primo giorno di scuola! Chi aveva da imparare di più: io o loro? Dopo tanti anni non so dare una risposta a questo interrogativo, ma so per certo che non possiamo chiudere gli occhi, le orecchie e il cuore al Sud del mondo.  Carla Degli Esposti

martedì 18 settembre 2012

Il nome della Pace

Settembre, stagione del rientro e tempo di ripresa un po’ per tutti. Anche la scuola riapre i battenti… Per molti novellini sarà l’ingresso in un mondo nuovo, inesplorato, che per un verso accende la fantasia ma si accompagna anche a timori per il cambiamento che li attende.

Da molti anni l’8 settembre è stato scelto dalle Nazioni Unite come Giornata mondiale dell'Alfabetizzazione. Ormai c’è un’inflazione di giornate dedicate a qualche problema che si vuol sottoporre all’attenzione dei cittadini, con il risultato esattamente opposto all’effetto sperato. Siamo diventati bravi a difenderci da questo bombardamento mediatico con una sorta di pigra rassegnazione e sviluppando sistemi immunitari sempre più efficaci che anestetizzano la mente e il cuore.
Nela caso dell’Alfabetizzazione la cosa è particolarmente seria, perché non si tratta di un problema di poco conto. Si tratta della qualità di vita e del futuro di quasi un miliardo di persone come me, come voi.
Le statistiche più aggiornate parlano di 775 milioni di adulti che non sanno né leggere, né scrivere né far di conto, di 122 milioni di bambini e ragazzi che a scuola non possono andarci anche se la desiderano come la cosa più importante… e di queste persone quasi 2 su 3 sono donne e bambine. E che non si tratti di un problema marginale lo dice la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, proclamata dall’ONU 50 anni fa, che parla dell’istruzione come di un diritto umano fondamentale, anzi direi del padre di tutti gli altri diritti.

Quest’anno il tema della Giornata è “Alfabetizzazione e Pace”. Un semplice dato la dice lunga sul nesso tra Alfabetizzazione e Pace: il 40% dei bambini non scolarizzati vive in Paesi dove ci sono dei conflitti armati. Sull’importanza dell’istruzione credo non ci siano obiezioni. Ma in che rapporto stanno Alfabetizzazione e Pace? L’istruzione è lo strumento base per lo sviluppo e la promozione della persona perché la rende capace di pensiero critico e di integrarsi nella realtà in cui vive, di operare delle scelte, di conoscere i propri diritti-doveri, di partecipare alla vita politica del proprio Paese… Tuttavia se si vuole che l’Alfabetizzazione diventi uno strumento di vero progresso e di Pace, essa non può limitarsi alla semplice istruzione formale, ma deve allargarsi all’educazione in senso più ampio: educare le persone al dialogo, al confronto, all’accoglienza dell’altro come un valore, alla collaborazione, alla tolleranza, al rispetto. Non basta semplicemente istruire, occorre educare. Questo vale sia nei Paesi in Via di Sviluppo che in quelli del Nord del Mondo, quindi anche a casa nostra. Ecco perché l’OPAM promuove i Gemellaggi tra scuole del Sud e del Nord del pianeta, per lanciare ponti di conoscenza, di amicizia e quindi di Pace. In quei Paesi infatti in cui la scuola non educa le persone alla convivenza pacifica si possono addirittura rafforzare le fratture sociali e i falsi valori. Da strumento di progresso, di liberazione e di Pace l’istruzione può diventare fattore di discriminazione e di oppressione. L’abbiamo visto verificarsi nei sistemi totalitari, di ieri e di oggi, lo vediamo in tante frange del fondamentalismo islamico, lo si è constatato come fenomeno che ha preparato il genocidio in Ruanda.

Nei rapporti annuali delle Nazioni Unite viene messa in luce la stretta relazione tra Alfabetizzazione in senso ampio e gli altri indicatori di sviluppo, come l' aspettativa di vita, l’economia, l’uguaglianza di genere o parità tra uomo e donna, tutti fattori che influenzano il processo di Pace. La Pace dipende in gran parte dall’accesso all’istruzione. Dove non c’è Pace c’è poca istruzione, dove manca l’istruzione è più facile l’esplosione di conflitti, magari pilotati da potenze esterne che hanno interesse a destabilizzare gli equilibri interni per i propri interessi economici. E’ quanto sta da anni succedendo nella Repubblica Democratica del Congo, non per nulla il primo dei 10 Paesi in cui si concentra il più alto tasso di analfabeti adulti. Corruzione, iniqua distribuzione delle risorse, mancato rispetto dei diritti umani e di libertà di informazione, cattivi governi, fanatismo etnico o religioso sono altrettante manifestazioni di un cattivo o carente sistema educativo. D’altro canto l’istruzione e la formazione si sono rivelate carte vincenti per sanare le ferite inferte dalle guerre, per ridonare speranza, per la ripresa di una vita normale: l’abbiamo visto in tante circostanze come risultato dei Progetti realizzati in Ruanda, Burundi, Sierra Leone, Liberia, Rep. Dem. Del Congo, in particolare a favore delle donne vedove, donne violentate, nel ricupero degli ex ragazzi soldato…

Da 40 anni l’OPAM si batte su questo fronte, all’inizio voce isolata, in favore dei senza voce, dando priorità all’istruzione delle donne e dei giovani, fattori essenziali di sviluppo di un Paese. Anche oggi riceviamo richieste sempre più numerose, specialmente dall’Africa, il continente della speranza che sta comprendendo sempre più il valore fondamentale della scuola, specie in quelle regioni dove è assente o poco significativa la presenza delle grandi Organizzazioni umanitarie.

In questa giornata lanciamo un forte appello: “Aiutateci, specie in questo momento di crisi, a gettare semi di Pace attraverso la Scuola. Non lasciamoci paralizzare dalla paura del domani. E’ nell’interesse di tutti, quindi anche nostro, che la Pace si consolidi ovunque. Facciamo sì che il primo nome con cui un bambino impara a scrivere la parola Pace sia il proprio nome.
                                                               Don Aldo Martini

venerdì 15 luglio 2011

Un tempo per volerci bene

Foto di Eileen Delhi
E' iniziato l’esodo annuale. Come rispondendo ad un misterioso comando le città si svuotano, il fiume umano inverte la rotta: non più dalle periferie al centro o ai posti di lavoro, ma verso fuori, quasi una fuga… verso il mare, i monti, i luoghi dell’evasione. Le grandi città ridiventano per un po’ più vivibili, più umane, decongestionate dal traffico frenetico. Nel periodo di punta dell’esodo estivo paiono deserte. I negozi chiusi, le saracinesche abbassate danno un vago senso di vuoto, di abbandono, perfino di lutto. Al contrario, come per un gigantesco movimento diastolico, si riempiono le località turistiche: paesetti sonnacchiosi per il resto dell’anno improvvisamente si rianimano di voci e di volti nuovi o che si rivedono puntualmente ad ogni estate.
    Sono arrivate le ferie (giorni di astensione dal lavoro in onore degli dei, così le intendevano i latini). E’ tempo di vacanze. Parole magiche, sconosciute un tempo nella civiltà contadina della mia infanzia, quando il tempo lasciato improvvisamente libero dalla chiusura delle scuole si dilatava a dismisura e non si sapeva bene come riempirlo. E allora si cercava qualche piccolo lavoro a bottega, un’occupazione stagionale in campagna per non “stare in ozio”. Ci sembrava, a noi ragazzini dell’immediato dopoguerra, quasi un peccato tutto quel tempo sciupato senza far nulla, mentre tutti gli adulti lavoravano sodo. Quando le scuole chiudevano i battenti mi assaliva una strana sensazione di melanconia: non udire il richiamo della campanella, non vedere più gli amici tutti i giorni come prima, non sapere cosa fare. Ecco allora le parrocchie organizzare le famose colonie e i campeggi estivi per dare a tutti la possibilità di trascorrere in modo fruttuoso le vacanze. Capisco ciò che mi diceva giorni fa una suora missionaria in Africa: “Le nostre ragazze non amano le vacanze e ci chiedono quando possono tornare a scuola”. Anche perché a casa le attende un duro lavoro, forse cibo scarso, ma soprattutto perché manca la compagnia delle amiche.
    Dunque vacanze come sinonimo di tempo vuoto, sciupato? Le risposte possono essere tante: si, no, forse… Dipende da come le viviamo.
Se concepite come pura evasione, fuga come da un carcere per rompere la monotonia di una vita di lavoro alienante, occasione per un divertimento frenetico, tempo per fuggire da se stessi, per non pensare, possono diventare a loro volta alienanti, fonte di dissipazione e di dispersione. Abbiamo bisogno tutti di ricomporre la nostra unità interiore, seriamente minacciata dal ritmo a cui siamo sottoposti per la maggior parte dell’anno. Direi che le vacanze sono un momento propizio per il ricupero di noi stessi, un momento per volerci bene. “Rede in te ipsum” dicevano gli antichi maestri di spirito: ritorna in te stesso. Scendere nell’intimo del nostro cuore, nella cella interiore, ci insegnano i mistici.
    Vacanze quindi come tempo di contemplazione. Etimologicamente contemplare significa osservare attentamente il tempio, luogo consacrato agli dei. Per noi può essere l’osservazione attenta del grande tempio di Dio che è la natura, non solo con gli occhi ma col cuore, sul modello di S. Francesco. Ma c’è anche un tempio in cui Dio vuol abitare come sua dimora e siamo noi stessi. In questo senso tempio di Dio è anche la mia storia, perché siamo costruiti come persona dai fatti, dalle cose, dalle persone che Dio ci mette accanto.
    Fermarci per ricordare (rimetterci nel cuore) la nostra storia, non per rattristarci, per rimpiangere le occasioni perdute, ma per vedere il cammino che Dio ha fatto con noi. “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto… per sapere quello che avevi nel cuore.” Questo invito di Mosè al suo popolo, di contemplare il tempo della vita nel deserto, terra di scorpioni e di serpenti velenosi, ma anche terra dove è stato nutrito di manna e dissetato di acqua scaturita dalla roccia, vale anche per noi. Ricordare, fare memoria è far pace con noi stessi, con gli altri, con la vita perché scopriamo di essere amati, comunque siamo. Dimenticare, scordare è la radice di tutti i mali.
    Infine vacanze come tempo di relazioni. Ciò che ci forma e ci salva sono le relazioni autentiche, da riscoprire attraverso una maggiore attenzione per chi vive al nostro fianco, ma anche per chi ci è concesso di incontrare: e le vacanze possono essere tempo di incontri, se non ci isoliamo nella nostra presunta autosufficienza.
Anche lo stile con cui viviamo le nostre vacanze, sia partendo sia rimanendo a casa, può essere una forma di alfabetizzazione del cuore, un aver cura di noi stessi per poterci prendere cura dei nostri fratelli.
Don Aldo Martini